giovani

Sono allarmanti le cifre della disoccupazione giovanile nell'Unione Europea: il 22,1% degli under 25.
Al primo posto c'è la Spagna con il 48,7%, l'Italia e la Francia sono rispettivamente al quarto e dodicesimo posto con il 31,8% e il 23,8%. Il tasso più basso è quello della Germania con il 7,8%.

Per capire meglio queste cifre, bisogna interessarsi ad alcuni fattori che possono influire sulla disoccupazione giovanile e le conseguenze pratiche sia a livello individuale sia sociale. Quest'articolo tratterà del caso italiano.

I giovani, prime vittime dei contratti precari

Questi ultimi anni si sono moltiplicati in Francia come in Italia i contratti flessibili come il contratto a tempo determinato, il lavoro interinale o lo stage. Per quanto riguarda la “flessibilizzazione” il governo Berlusconi ha però superato ogni limite, soprattutto con la Legge Biagi (2003) e il “co.co.pro” o contratto a progetto.

Il co.co.pro è l'equivalente transalpino del “CPE” francese, tranne che la Legge sul CPE è stata subito abrogata a causa delle numerose proteste da parte dell'opinione pubblica. In realtà, il co.co.pro è un contratto di lavoro completamente opposto a tutti i principi del diritto del lavoro, forse peggiore del CPE.

L'idea principale del co.co.pro è di trattare il lavoratore come un autonomo, mentre fa un lavoro totalmente salariato. Quindi per il lavoratore, non c'è nessuna protezione sociale (nessuna assenza per malattia, maternità, paternità e ferie retribuite), nessuna stabilità (nessun reddito fisso e la possibilità per il datore di interrompere il contratto in qualsiasi momento e senza motivi) e tutti gli obblighi del dipendente (vincolo di subordinazione, rispetto dell'orario ecc.). Per il datore invece questo contratto presenta soltanto dei vantaggi e ciò spiega il suo grande “successo”.

Questi contratti precari colpiscono in modo particolare i giovani. In Italia, circa un giovane su due under 25 ha un contratto a tempo determinato, contro il 10,7% degli over 25. L’instabilità provocata da questi contratti genera una serie di conseguenze per gli individui come per la società italiana.

Le conseguenze del precariato dei giovani

La conseguenza principale del lavoro precario e della disoccupazione giovanile è certamente finanziaria.
E con un reddito basso e non fisso, o addirittura con nessun reddito, non è possibile lanciarsi completamente nella vita o costruire un futuro.

Un’illustrazione di questo problema è il fenomeno “bamboccioni”, questi giovani che rimangono a casa dei genitori spesso fino a 30 o 35 anni. Rappresentano circa il 60% dei 18-34 anni. Per questi bamboccioni, non è sempre une vera e propria scelta rimanere a casa dei genitori, ma piuttosto un obbligo legato a motivi finanziari. Come pagare un affitto in una grande città italiana quando il proprio stipendio è di 1000 euro? O quando si può perdere il lavoro da un giorno all’altro? A maggior ragione, non è possibile ottenere un prestito per comprare una casa.

Un’altra illustrazione delle preoccupazioni finanziarie dei giovani potrebbero essere i problemi demografici attuali dell’Italia, perché fare figli e mantenergli è costoso. In Italia, il tasso di fecondità è di circa 1,3 figli per donna, tra i più bassi dell’Unione Europea.# Il lavoro precario è un fattore aggravante nel senso che le donne non possono smettere di lavorare quando non è previsto il congedo di maternità come nel co.co.pro, o quando non si ha la certezza di continuare ad avere un lavoro.
Rispetto all’invecchiamento della popolazione italiana, il lavoro precario rappresenta quindi un vero pericolo per il futuro economico del paese.

Un’altra conseguenza della precarietà del lavoro in Italia è la fuga dei cervelli, i giovani laureati che emigrano alla fine dei loro studi, soprattutto negli Stati-Uniti. Questo fenomeno avviene spesso in Italia nell’ambito della ricerca con i dottorandi. Il paese non propone prospettive sufficienti rispetto ad altri paesi sviluppati, sia per lo stipendio, sia per i mezzi a disposizione dei ricercatori.
La fuga dei cervelli in Italia non riguarda soltanto i dottorandi ma tutti i laureati, e rappresenta per il Paese un importante peso economico. Per i soli ricercatori, questo costo è stato valutato a 4 miliardi d’euro da uno studio dell’Icom (Istituto per la Competitività).

Andare all’estero sarebbe così l’ultima soluzione per i giovani italiani? No di certo. Con la crisi economica attuale, molti paesi conoscono le stesse difficoltà che l’Italia, come lo rivelano le cifre europee date in introduzione. Purtroppo, in questo contesto di crisi, sembra difficile ricorrere ad altre soluzioni come l’aumento dei sussidi o una legislazione del lavoro meno flessibile, perché sono opposti alle politiche di austerità attuali. Tuttavia, il lavoro precario dei giovani avrà certamente conseguenze molto più costose a lungo termine, sia sul piano sociale sia sul piano economico.

Elisa M.